L’atto puro del pensiero non può
essere pensato come il risultato già realizzato, prodotto da un meccanismo che
in qualsiasi modo, empiricamente o logicamente, lo preceda e una volta prodotto
lo espella da sé. In una tale considerazione il pensiero è concepito come cosa
tra le cose, un fatto fra i tanti. Esso perderebbe la propria attualità, poiché
così sarebbe l’oggetto di una tale considerazione, non la considerazione stessa
in cui esso, come oggetto, non può non essere inscritto con il proprio
specifico valore di oggetto, e dalla quale perciò dipende. E’ cioè questa
considerazione in atto, eventualmente, ad essere l’orizzonte in cui si dà la
necessità di un meccanismo da cui il pensiero-oggetto sia prodotto. E se
volessimo abbassare anche questa considerazione a prodotto di un meccanismo,
ciò sarebbe possibile soltanto grazie a questa attuale volontà, che è ancora la
considerazione attuale, della quale è dunque impossibile liberarsi. L’attualità
di questa considerazione è l’attualità dell’atto puro che non può concepirsi se
non come originaria.
Questa attualità per essere
originaria non può non essere originaria autocoscienza. Se infatti - e qui il
discorso si fa sottile e può apparire abbastanza sibillino perché si ipotizza
la separazione di aspetti intrinsecamente necessari l’uno all’altro – se
infatti, dicevamo, la coscienza di sé dell’attualità fosse posticcia rispetto
all’originarietà di quest’ultima, sarebbe proprio l’attualità originaria che
verrebbe a perdersi, dal momento che nell’attualità dell’autocoscienza essa si
presenterebbe come una attualità che precede, dunque inattuale, mentre
l’attuale autocoscienza viene ad essere il vero orizzonte del quale non è possibile
realizzare una più originaria attualità.
Ugualmente, e all’inverso,
l’autocoscienza può essere originaria soltanto se essa è attuale autocoscienza:
autocoscienza non in una considerazione ulteriore e ad essa estrinseca, la
quale verrebbe ad essere la sua condizione esterna, ma autocoscienza perché
attuale farsi consapevole di sé, in cui cioè l’attuale considerarsi è
condizione in atto di se stesso. L’autocoscienza può essere attuale
autocoscienza soltanto se è l’attuale farsi autocosciente.
A sua volta il farsi
dell’autocoscienza può essere il farsi dell’autocoscienza attuale se è esso
stesso il farsi attuale; non un farsi che sia già esaurito nell’attualità
dell’autocoscienza, ma l’autocoscienza nell’attualità del suo farsi. Né un
farsi di cui si possa avere coscienza fuori di esso, per cui esso valga
soltanto come un fatto inattuale, ma quel farsi che per essere il farsi attuale
non può accadere se non come attuale coscienza di sé, l’attuale farsi
cosciente. Reale non perché causato, ma in quanto attuale esercizio del farsi
consapevole.
Ugualmente, dell’atto non si può
dare una struttura che, per dar conto dell’attività di esso, non sia questa
stessa attività. Porsi oltre l’atto per poterne cogliere l’interna struttura da
cui scaturirebbe l’azione varia e infinita di esso, si può soltanto realizzando
l’atto in questa stessa riflessione onde l’unica struttura di cui si possa
parlare è quella struttura che in atto si viene realizzando. La struttura
dell’atto non può che essere lo strutturarsi in atto del pensare.
Questo discorso, molto sdrucciolevole e che
comunque sembra ripetersi e quasi avvitarsi su stesso, s’impone per mostrare
come dell’atto non si possa avere una spiegazione causale per cui esso venga ad
esistere grazie ad un processo che stia alle sue spalle. Ogni processo,
infatti, che si possa pensare come causa dell’atto, esige e trova la sua
condizione nell’atto stesso di questo pensare che si mostra la vera
intrascendibile condizione di tutto ciò che si pensa. E la difficoltà si ripete
nel dover esprimere la realtà dell’atto con concetti distinti che nell’analisi
astratta tendono a fissarsi nel loro isolamento, dove l’uno sembra avere una
concreta precedenza sull’altro, mentre in concreto si attuano come una sola
organica unità vivente.
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