venerdì 26 novembre 2021

Emanuele Severino: Il realismo assoluto di Giovanni Gentile


Emanuele Severino, La potenza dell’errare, Rizzoli , Novembre 2013
Cap. “Relativismo, evoluzionismo, realismo e altre discussioni”
[Le parentesi quadre sono una nostra aggiunta]

“Tra i pochi abitatori del nucleo essenziale [del pensiero filosofico del nostro tempo] c’è sicuramente il pensiero di Nietzsche. Ma anche quello di Giovanni Gentile, la cui radicalità è ben superiore a quella di altre pur rilevanti figure filosofiche, di cui tuttavia continuamente si parla. Invece su Gentile il silenzio, in Italia, è preponderante (sebbene non totale, anche per merito di alcuni miei allievi). All’estero, poi, sia nella filosofia di lingua inglese, sia in quella «continentale», di Gentile, direi, non si conosce neppure il nome.” [§ 13]

“Ma ben prima di Heidegger, e con maggior nitore, Gentile aveva già mostrato (rendendo radicale l’idealismo hegeliano) l’insostenibilità di quella definizione [‘la definizione di «verità» come «corrispondenza» tra intellectus e res, tra «l’intelletto» e «la cosa»’]. In sostanza egli argomentava – per sapere se l’intelletto corrisponda alla cosa, intesa come «esterna» alla rappresentazione che l’intelletto ne ha, è necessario che il pensiero confronti la rappresentazione dell’intelletto con la cosa; la quale, quindi, in quanto in tale confronto viene ad essere conosciuta, non è «esterna» al pensiero, ma gli è «interna». Ciò significa che il pensiero, per essere vero, non ha bisogno e non deve «corrispondere» ad alcuna cosa «esterna».” [§ 13]

“L’idealismo assoluto di Gentile è poi un assoluto realismo, perché il contenuto del pensiero non è una rappresentazione fenomenica della realtà esterna, ma è la realtà in sé stessa. Un rilievo, questo, che potrebbe invogliare Gabriel [Marcus Gabriel, filosofo neorealista contemporaneo] e i vari neorealisti a studiare Gentile.
Certo, la difficoltà maggiore è capire il carattere «trascendentale» del pensiero, che si è presentato in modo sempre più rigoroso da Kant all’idealismo tedesco e al neohegelismo di Gentile. L’«al di là» di ogni pensiero, l’«assolutamente Altro», l’«Ignoto», gli infiniti tempi in cui l’uomo non c’era e non ci sarà: ebbene, di tutto questo possiamo parlare solo in quanto tutto questo è pensato. Per questo Gentile afferma che il pensiero non può essere trasceso e che è esso a trascendere tutto ciò che si vorrebbe porre al di là di esso e come indipendente da esso. Questo trascendimento è la verità.” [§ 13]

“Ben presto l’uomo si accorge degli ostacoli che limitano la sua volontà. E si convince che il mondo esista indipendentemente dalla coscienza che egli ne ha. Questa, la base di ogni forma di «realismo». Se l’«uomo» è il singolo individuo umano, anche l’«idealismo» è una forma di realismo. D’altra parte, il mito, e il pensiero filosofico della tradizione (sia pure in modo profondamente diverso) vedono in quegli ostacoli una forma superiore, più potente, «divina», di Volontà, capace di dominare la materia di cui le cose son fatte o addirittura capace di produrre ogni aspetto del mondo, come pensa anche l’idealismo classico, culminante in Hegel, che però indica i motivi per i quali quella Volontà divina e cosciente non sta al di là dell’uomo, ma gli è unita. Come Cristo, l’uomo autentico è Uomo-Dio. Il mondo è prodotto non dall’uomo singolo, ma dall’Uomo-Dio. Nel pensiero del neohegeliano Giovanni Gentile questa tematica è fondata nel modo più rigoroso.” [§ 14]

“Giacomo Marramao («Il Secolo d’Italia» 18 settembre 2011) è limpidamente d’accordo con me circa questo rigore – osservando giustamente, tra l’altro, che uno dei motivi del disinteresse per Gentile sta nel suo stile «pesante» e «ottocentesco». Che però, aggiungo, vanta un nitore concettuale estremamente superiore a quello di neohegeliani del mondo anglosassone del XIX-XX secolo. Contrariamente alle loro intenzioni (e nonostante i loro indubbi meriti), essi hanno offuscato e complicato la potenza speculativa di Hegel, determinando una reazione «realistica» non immune da conseguenti ingenuità, che sarebbe stata di più alto livello se nel mondo anglosassone la presenza di quella forma di neohegelismo non avesse impedito la presenza di Gentile.” [§ 14]

“Nell’intervento di Maurizio Ferraris («la Repubblica» 18 settembre 2011) si afferma che nella prospettiva che va da Kant a Gentile, «noi non abbiamo mai a che fare con cose in sé, ma sempre e soltanto con fenomeni, con cose che appaiono a noi». No: questo lo si può dire di Kant (e propriamente del Kant della Critica della ragion pura), non di Hegel o di Gentile. Per Hegel, come per Aristotele, il contenuto della ragione sono proprio le cose in sé. E a sua volta Gentile ribadisce che solo se si presuppone (arbitrariamente) che esistano cose in sé  al di là del pensiero, si può affermare che i contenuti del pensiero siano soltanto fenomeni. Per confutare l’idealismo Ferraris richiama l’esistenza delle infinite cose che esistevano prima dell’uomo, gli ostacoli incontrati dall’uomo, l’imprevedibilità degli eventi. L’idealista risponde, a ragione, che di tutte queste situazioni non si potrebbe parlare se non fossero pensate e che quindi esse non stanno al di là del pensiero, indipendenti da esso, che invece include nel proprio contenuto gli stessi individui umani che nascono, subiscono quelle avversità e muoiono.” [§ 14 (il grassetto è nostro)]

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