Se il concetto del conoscere non
è dunque per l’attualismo contemplazione del reale, un prendere nota di quanto
starebbe “in presenza” del pensiero, come un dato già pronto per l’osservazione
senza che il pensiero stesso intervenga al suo costituirsi nell’attualità
dell’apprenderlo, bensì è realizzazione di ciò che, appunto perché in atto di
costituirsi, si viene anche conoscendo, ciò allora significa che per
l’attualismo l’atto in atto del pensiero, nella sua totalità concreta, non è “coram re”, ma “in re”, anzi “ipsa res”,
se intendiamo che la stessa cosa a sua volta si risolve tutta nell’apprendersi
facendosi. Né ciò può intendersi come il dissolversi della cosa, presa come
dato, dentro l’astratta intenzionalità del pensare, né come il dissolversi di
questa in quella, poiché ciò in cui l’una e l’altra si risolvono è invece la
loro sintesi, dove c’è la cosa perché viene in atto pensata e dove l’atto del
pensiero si esercita effettivamente perché la cosa viene appresa nell’esser
costruita. Dove perciò l’intenzionalità soggettiva e l’inerzia dell’oggetto non
sono che degli astratti di un concreto che non sta da una parte o dall’altra
del rapporto e neanche suddiviso in due parti, bensì nell’integrità di esso,
dell’esperienza in atto, non riducibile al suo contenuto o alla sua forma, né
alla giustapposizione estrinseca e materiale dei suoi elementi.
E dunque ora non c’è più da una parte il pensiero che racchiude in
una visione unitaria ciò che dall’altra parte, nella realtà, si troverebbe
sparpagliato nel suo atomistico isolamento, bisognoso ancora di un’aggregazione
non estrinseca nell’organismo del reale. Ma c’è la realtà molteplice che,
appunto perché molteplice, è intrinsecamente relata e, perché attualmente
relata, non riconducibile a monolite amorfo e cieco di se stesso. Non c’è più
l’individualità astratta bisognosa di una legittimazione che non può cercare,
seppure inutilmente, se non fuori di sé, ma un individuo che nel proprio volere
obiettivo e universale, nel suo bisogno di giustizia e verità per tutti, si sa
anche e soprattutto individuo universale. Né c’è libertà bisognosa ancora di
una legge che dall’esterno la guidi e quindi la limiti violentandola, ma
libertà che consapevole dell’inderogabile necessità di sé stessa si sviluppa in
una propria interiore legge che affranca e libera, in un imperativo interiormente
necessitante e quindi libero, dove la libertà diviene dovere verso se stessi e
garanzia vera e unica dell’esercizio della legge in cui essa stessa si
concreta. Né c’è diritto che non sia esso stesso e innanzitutto dovere, non
godimento passivo di un bene egoisticamente ricevuto, ma conquista sofferta
della propria non barattabile dignità.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.