Gennaro Sasso
[Gentile e la riforma della scuola]
passi scelti da
GENTILE, Giovanni - Dizionario Biografico degli Italiani
Non è possibile, in poco spazio, raccontare le vicende complesse e intricate alle quali il progetto gentiliano della riforma dette luogo. E basteranno due rilievi: uno rivolto a ricordare la struttura a cui la riforma tendeva e alla quale infine mise capo, l'altro diretto a rievocare le fiere critiche che essa suscitò, non solo nel mondo politico, ma anche in quello della scuola. La struttura della scuola riformata prevedeva una scuola elementare obbligatoria per tutti, nella quale il senso della tradizione nazionale, della religione e della letteratura tenessero il centro e costituissero il criterio per la formazione del giovane, al quale certo non sarebbero mancate le nozioni elementari dell'aritmetica e della scienza. Accanto al ginnasio-liceo, destinato a formare le future élites dirigenti e, comunque, gli strati più alti della popolazione, la scuola riformata prevedeva quattro indirizzi fondamentali a cui, come ha scritto S. Romano, corrispondevano "quattro distinti ruoli sociali" (p. 174); e altresì prevedeva che l'educazione impartita nelle elementari sarebbe stata completata, per i figli del popolo, con tre anni di complementare, mentre una scuola industriale e tecnico-commerciale, integrata da un istituto tecnico per chi avesse inteso proseguire nello studio, avrebbe corrisposto alle esigenze formative di queste professioni, insieme con una scuola magistrale, proseguibile in un magistero universitario, per certe parti analogo alla facoltà di lettere e filosofia.
Le critiche che a questo modello di scuola, qui
sommariamente descritto, furono rivolte posero subito in rilievo il carattere
conservatore, statico e anche classista di una struttura a cui faceva in
effetti riscontro l'idea di una società immodificabile nei suoi equilibri
politici ed economici. E forti furono subito, da parte di non pochi, le riserve
avanzate circa il ruolo riservato al ginnasio-liceo, nel quale lo studio delle
due lingue classiche, il latino e il greco, prevaleva su quello delle lingue
moderne e, nel complesso, la parte riservata alle lettere appariva rispetto a
quella fatta alle scienze naturali, predominante. Si aggiungano le critiche
rivolte all'abbinamento, nel liceo, della filosofia e della storia, e anche
della matematica e della fisica; e sopra tutto al primo, che sconvolgeva
antiche abitudini sia degli storici, sia dei filosofi, alquanto astrattamente
dedotto da una teoria e che in concreto non aveva, e non ebbe, il potere di
rendere filosofi gli storici, e storici i filosofi. E infine non si dimentichi
che la riforma non piacque a molti cattolici, scontenti del potere che lo Stato
veniva a esercitare sulle scuole private, e a non pochi laici, scontenti essi
pure che la religione cattolica fosse diventata materia obbligatoria per tutti
i giovani cittadini dello Stato italiano.
Accanto alle molte critiche, occorre tuttavia anche
ricordare e sottolineare che la riforma gentiliana nasceva da una visione
coerentemente unitaria, e certo non era la veste di Arlecchino che altrimenti
(e come poi è accaduto) avrebbe rischiato di essere: tante idee di diversa
provenienza mal combinate e peggio tenute insieme dallo spirito deteriore del
compromesso politico. Per quanto concerne il rilievo (certo non infondato) di
elitismo e persino di classismo, conviene dimenticare il "nodo" che,
per parafrasare Dante, tiene al di qua di ogni ragionevole traguardo chi,
ripugnando all'idea di fare delle classi economiche più forti le vere
destinatarie dell'alta cultura, intesa perciò come strumento di conservazione e
di trasmissione del potere, con alquanta semplicità di spirito ritenga che la
difficile questione si risolva col "democratizzare" la cultura, ossia
con l'estenderne l'ambito e abbassarne il livello. L'esigenza che il G. (e
questo non può essere negato) cercava di realizzare, e che per alcuni versi si
traduceva in istituti didattici inadeguati, era diretta a far entrare nelle
menti che "cultura" significa, in primo luogo, la grande difficoltà
che s'incontra nel tentativo che si faccia di conseguirla: un tentativo che va
a buon segno soltanto se ci si impegna nell'acquisizione degli strumenti
tecnici, storici, linguistici, filosofici, scientifici, senza i quali il mondo
del sapere non dischiude i suoi tesori. Ma qui, su questo difficile problema,
che tende a tornare insoluto dinanzi a chi pur lavori nel tentativo di
risolverlo, occorre non insistere.
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