Emanuele Severino, "La filosofia contemporanea", 1986, 1992 RCS Rizzoli S.p.A. Milano
L'IDEALISMO ITALIANO - Cap. XII
a) Storicità della realtà e identità di storiografia e filosofia.
Affermare che il divenire, nella sua fisionomia
autentica, è il divenire della coscienza, significa affermare che la realtà è
storia e che non esiste altra realtà che la realtà storica. Benedetto Croce
(1866-1952) presenta il proprio idealismo appunto come "storicismo
assoluto": la filosofia non può essere altro che "filosofia dello
spirito" - cioè non "metafisica", filosofia di una realtà
immutabile trascendente lo spirito -, e la filosofia dello spirito non può
essere altro che pensiero storico, pensiero che ha come contenuto la storia. La
filosofia si risolve nella "storiografia".
Si può dire, sì, che nel processo storiografico la
filosofia rappresenta propriamente il momento della riflessione metodologica
intorno a tale processo, ma si tratta di una distinzione estrinseca, perché il
momento metodologico è inscindibile l'unico processo in cui la conoscenza, come
conoscenza della realtà, è conoscenza storica.
I problemi autentici non sono quindi i "massimi
problemi" della metafisica, ma i problemi concreti e particolari della
vita dello spirito. Anche Nietzsche aveva rilevato che la filosofia si
interessa sempre meno della ricerca dell'"origine" del mondo - dalla
quale ricerca faceva dipendere la salvezza dell'uomo - e sempre più della
"realtà più vicina", quella che è "intorno e dentro di noi"
e che mostra ricchezze, enigmi e bellezze insospettabili per gli antichi.
Si osservi che, dal punto di vista terminologico, è
Gentile a sottolineare l'attualità dello spirito ed è Croce a insistere sul
principio che «ogni vera storia è storia contemporanea». Ma le due formule sono
sostanzialmente identiche, perché l'attualità dello spirito indica l'atto unico
e immoltiplicabile del pensiero, che è "fuori del tempo" perché ha la
totalità del tempo al proprio interno, sì che, rispetto all'atto del pensiero,
sia il presente, sia il passato, sia il futuro sono egualmente presenti, cioè
"contemporanei a tale atto; e da parte sua Croce afferma che ogni storia è
contemporanea «perché essa, come ogni atto spirituale, è fuori del tempo (del
prima e del poi), e si forma "nel tempo stesso" dell'atto a cui si
congiunge e da cui si distingue», ossia nel tempo stesso della effettiva realtà
storica - restando inteso che «ogni atto spirituale» è quell'unico e
immoltiplicabile atto in cui consiste lo spirito, ossia «quell'individuo
veramente reale, che è lo spirito eternamente individuantesi» nei vari aspetti
della realtà storica.
Quindi: la realtà è spirito e lo spirito è storia;
la storia è autoproduzione della realtà, ossia individuazione dello spirito,
che non rimane chiuso in una sua astratta universalità. Il pensiero della
realtà, cioè la filosofia, è pertanto storiografia e l'oggetto dell'atto
storiografico è sempre storia contemporanea, cioè realtà attuale, sempre legata
agli interessi e ai bisogni concreti dell'uomo.
La separazione di filosofia e storiografia è quindi
per Croce un residuo della concezione metafisica, dualistica, trascendentistica
della realtà, nel quale «accanto o di fronte alla verità della filosofia o
dell'universale si pone un'altra verità che è dell'individuale, la verità
storica», accanto o di fronte all'immutabile "verità di ragione" si
pone la contingente "verità di fatto"; si che la relazione tra
filosofia e storiografia è «quella di guida e guidato, di luce e di
rischiarato, di forma e di materia», e il primato della filosofia rispetto alla
storiografia diventa quello «di sovrana a suddito, non dissimile da quello
degli enti metafisici verso la realtà».
Si esce dalla concezione metafisica del rapporto tra
filosofia e storiografia affermando il carattere storico di ogni giudizio e
quindi di ogni filosofia e di ogni soluzione dei problemi filosofici. «Ogni
giudizio è giudizio storico, o storia senz'altro. Se il giudizio è rapporto di
soggetto e predicato, il soggetto, ossia il fatto, quale che esso sia, che si
giudica, è sempre un fatto storico, un diveniente, un processo in corso, perché
fatti immutabili non si ritrovano né si concepiscono nel mondo della realtà.»
Ogni situazione storica richiede pertanto nuove
soluzioni filosofica dei problemi sempre nuovi che vanno via via presentandosi;
e quindi la filosofia non è «una liberazione dal travaglio della vita» - come
invece la filosofia, in quanto episteme e metafisica, ha voluto essere -, ma
«si travaglia partecipando alla continua creazione di un mondo sempre nuovo».
Un'affermazione, questa, che ripropone la sostanza della filosofia
"dionisiaca" di Nietzsche e l'atteggiamento di fondo che il pensiero
contemporaneo assume di fronte al divenire. Il travaglio del divenire - la
«continua creazione di un mondo sempre nuovo» (Nietzsche parlava appunto del
«travaglio della partoriente») - non è ciò da cui la filosofia deve liberarsi,
rifugiandosi nell'eterno e nell'immutabile, ma è ciò che la filosofia assume in
sé stessa e spinge alla sua realizzazione più piena. E, per Croce, il pensiero
di Nietzsche, "immaginario antihegeliano", è la "migliore
propedeutica" alla filosofia dialettica di Hegel. «II Dio trascendente»
scrive Croce «è straniero alla storia umana, che non sarebbe se quel Dio fosse:
essa che è a sé stessa il Dioniso dei misteri e il Christus patiens" del
peccato e della redenzione.»
Anche Hegel afferma l'unità di filosofia e storia
della filosofia, e poiché ogni filosofia è per lui lo spirito dell'epoca che le
corrisponde, già in Hegel è presente la tesi dell'identità di filosofia e
storiografia. Ma in lui questa identità si riferisce al sistema delle
categorie, che da un lato costituisce l'oggetto della filosofia e che
dall'altro, nella storia, si realizza unendosi all'insieme degli aspetti
accidentali ed empirici della realtà. Ora, è proprio il sistema delle categorie
che, per Croce - come per Gentile (e come per Feuerbach e Marx) -, si presenta
come la legge immutabile, metafisica, "entità trascendente" che rende
impensabile il divenire e che quindi deve essere negata.
Pertanto, lo spirito non è più da intendere come il
sistema delle categorie che sta al di sopra e che regola dall'esterno la storia
concreta, in un rapporto "di sovrano e suddito": lo spirito è la
stessa storia concreta. In questa direzione, si è condotti a dire, come appunto
avviene in Gentile, che l'autentica deduzione delle categorie consiste non in
un'astratta operazione logica, ma nello stesso concreto processo storico, quale
si presenta all'interno della riflessione storiografica.
b) Gli opposti e i distinti.
Ma per Croce vi è soprattutto un motivo specifico che rende inaccettabile il "sistema" hegeliano: si tratta della confusione, che avverrebbe in Hegel, tra la "dialettica degli opposti" (FM [La filosofia moderna], XXI, 5-7) e il "nesso dei distinti".
Per Croce, cioè, l'errore fondamentale di Hegel è di
trattare come concetti "opposti" quelli che sono soltanto concetti
"distinti". Opposti sono i concetti di vero-falso, bene-male,
bello-brutto, valore-disvalore, gioia-dolore, attività-passività,
positivo-negativo, vita-morte, essere-nulla. Ma Hegel considera come opposti
anche tutti gli altri concetti e innanzitutto quelli di "spirito teoretico
e spirito pratico", e poi concetti come quelli di diritto e moralità,
famiglia e società civile, arte e religione - opposizioni, queste, la cui
sintesi è data in Hegel rispettivamente dallo spirito libero, dall'eticità,
dallo Stato, dalla filosofia.
E invece, in questo secondo gruppo di rapporti, vi
sono rapporti che non sono di opposizione. Ad esempio - ed è l'esempio
fondamentale -, lo spirito teoretico è conoscenza del vero e lo spirito pratico
è produzione del bene: ma se il rapporto tra il vero e il falso è quello di
opposizione, indicato da Hegel, il rapporto tra il vero e il bene è di altra
natura. Infatti, se la verità è impensabile al di fuori del suo rapporto col
falso, e quest'ultimo e impensabile al di fuori del suo rapporto col vero,
viceversa la conoscenza della verità può "precedere" la produzione
del bene - ha cioè una sua "autonomia" rispetto a questa -, laddove
non possibile che il bene esista senza verità («è impossibile voler il bene
senza pensare»).
Il rapporto tra verità e bene è cioè quello che
esiste tra due "gradi" della realtà, dove il primo può esistere senza
il secondo, ma non il secondo senza il primo. Grado Inferiore e superiore sono chiamati
da Croce "distinti", e il rapporto tra i distinti non può avere il
carattere che Hegel assegna alla dialettica degli opposti. Lo spirito
teoretico, infatti, diventa inevitabilmente spirito pratico, ma non per una
contraddizione intrinseca allo spirito teoretico, come invece Hegel ritiene, ma
perché lo spirito è essenzialmente divenire e deve quindi passare dalla
contemplazione alla produzione di ciò che esso contempla. E a sua volta lo
spirito pratico, creando una realtà nuova, esige una nuova riflessione sulla
realtà e passa quindi nello spirito teoretico, secondo un processo circolare
infinito, in cui resta scandita l'esistenza storica dello spirito - o, se si
vuole riproporre il linguaggio di Vico (il filosofo che Croce pone accanto a
Hegel), secondo una «storia ideale eterna, sulla quale corrono nel tempo le
storie particolari».
Croce rileva inoltre che il nesso di distinzione
esistente tra lo spirito teoretico e lo spirito pratico si articola
ulteriormente, perché, nello stesso spirito teoretico, la filosofia è il grado
superiore di quel grado inferiore che è l'arte - la filosofia essendo la
conoscenza dell'universale e l'arte conoscenza del particolare -; e nello
spirito pratico il grado inferiore della volizione del bene è la volizione del
bene particolare - Croce chiama "economico" questo tipo di volizione
-, mentre il grado superiore della volizione del bene è la volizione
dell'universale o "etica". Arte, filosofia, economia ed etica sono
quindi i "distinti" in cui circola eternamente la vita dello spirito.
c) L'economia.
Tanto il concetto di "arte" quanto il concetto
di "economia" hanno in Croce un significato più ampio di quello
usuale. L'"arte", come espressione del sentimento, tende a
identificarsi al linguaggio, e quindi è già presente tra gli uomini ben prima
della comparsa del cosiddetto "artista". E l'"economia"
include non solo l'intero campo delle scienze naturali e matematiche, ma anche
il diritto dello Stato - e, infine, anche l'errore.
Croce è d'accordo con la tesi hegeliana che le
scienze della natura e le matematiche sono prodotti dell'intelletto (cioè
dell'astrazione intellettuale) e non della ragione. Ma aggiunge che se le
scienze non trovano giustificazione nella ragione teoretica, si giustificano
però all'interno della ragione pratica e cioè devono essere intese come prassi,
volontà che mira al raggiungimento di certi scopi.
Esponendo la situazione della indagine critica sul
sapere scientifico dopo Hegel, Croce rileva che «già dal campo stesso della
scienza, da scienziati che prendevano a riflettere sul metodo del loro lavoro e
ne tentavano, di proposito o no, la filosofia, si levavano voci ad annunziare
che l'indole delle scienze non era stata bene intesa, e che essa non era
conoscitiva ma prammatica ed utilitaria; e si veniva delineando una teoria, che
fu chiamata "economica", delle formazioni scientifiche».
Gli scienziati ai quali Croce si riferisce sono in
questo passo rappresentati soprattutto da E. Mach (v. cap. XVI, par. 4) ma, per
quanto riguarda il carattere pratico del sapere scientifico, anche la
dipendenza di Croce da Bergson è evidente. Solo che questi tipi di critica
della scienza assumono un significato di negazione della conoscenza e della
verità, una negazione che viene rifiutata da Croce in nome della difesa
idealistica della razionalità.
L'"economia", si è detto, include anche l'errore,
perché se l'errore non può appartenere alla ragione teoretica (sostenere questa
appartenenza equivarrebbe a sostenere lo scetticismo), tuttavia l'errore è
espressione di una volontà, e di una volontà che mira al raggiungimento di uno
scopo particolare e che quindi rientra nella definizione
dell'"economia". (La dottrina del carattere pratico dell'errore
appartiene comunque alla tradizione del pensiero filosofico e risale ai greci.)
E all'"economia", cioè alla volontà
dell'utile, del bene particolare, appartengono il diritto e lo Stato. Questi
ultimi esprimono infatti la forza di certi gruppi sociali di imporre certe
regole di comportamento. In quanto appartenente all'economia, la politica non
può essere confusa con la morale, che costituisce il grado superiore dello
spirito pratico. II "liberalismo" è innanzitutto, per Croce, la
consapevolezza del divenire dello spirito, che non tollera l'imposizione di
alcun ideale (religioso, metafisico, etico) trascendente il concreto processo
storico; ed è la coscienza che nella storia ogni decadenza, ogni male, ogni
reazione (Croce pensa anche al fascismo) sono «malattie e crisi di crescenza,
come incidenti e mezzi della stessa eterna vita della libertà».
d) La polemica tra Croce e Gentile.
Appare comunque, dalla teoria crociana dei distinti,
che se la critica contro ogni immutabile trascendente il divenire dello spirito
implica la negazione del "sistema" hegeliano, questa critica non deve
però andare "oltre il segno" e considerare le quattro forme dello
spirito - cioè le "eterne categorie" del bello, del vero, dell'utile
e del bene, i distinti, appunto - come espressioni anch'esse della
trascendenza. Che è la critica rivolta da Gentile a Croce: se le categorie non
trascendono il concreto giudizio storico e se quindi mutano e si arricchiscono
con la continua innovazione del giudizio, allora le categorie sono infinite
come infiniti sono i giudizi storici, e la teoria delle quattro eterne
categorie dello spirito non ha più ragion d'essere, giacché essa è un residuo,
all'interno della rinascita dell''idealismo, di quell'affermazione di entità
eterne e immutabili che rendono impensabile il divenire.
Ma Croce replicava che la distinzione tra spirito
teoretico e spirito pratico - ossia tra conoscere e volere, tra pensiero e
azione - è una distinzione «primigenia e fondamentale che il senso comune
dell'umanità ha sempre posta e osservata e le filosofie hanno rispettata».
L'argomento impiegato da Gentile per cancellare questa distinzione è, per
Croce, un "sofisma".
Gentile rileva che la distinzione tradizionale tra
volontà e pensiero è un'espressione del dualismo di pensiero e realtà (ossia
dell'opposizione di certezza e verità), perché concepisce il pensiero come un
rispecchiamento passivo della realtà esterna e la volontà come un'attività che
mira alla trasformazione di tale realtà. Per Gentile l'eliminazione del
dualismo di pensiero e realtà è quindi, insieme, eliminazione del dualismo di
pensiero e volontà: non essendo passivo rispetto ad alcuna realtà esterna, il
pensiero è attivo come la volontà e l'azione, e quindi non differisce da esse.
Croce ribatte che l'erronea distinzione
realistico-naturalistica tra passività del pensiero e attività del volere non
deve essere confusa con la corretta distinzione tra pensiero e volontà,
concepiti come forme immanenti dello spirito, giacché dal fatto che anche il
pensiero sia attività non segue per ciò stesso che resti cancellata ogni
differenza tra pensiero e volontà. Certo, pensiero e volontà, pur
distinguendosi, si implicano reciprocamente: il pensiero è tanto necessario
all'azione quanto l'azione è necessaria al pensiero (la tesi marxiana della
priorità della struttura economica rispetto alla sovrastruttura ideologica
resta così corretta): circolarità di pensiero e azione - dove questa
circolarità è «la vera unità e identità dello spirito con sé stesso».
D'altra parte, proprio perché l'idealismo crociano
riconosce che il pensiero non è passivo rispetto alla realtà esterna e cioè non
ha nulla al di fuori di sé, deve anche riconoscere che il pensiero, cosi
inteso, non può essere identificato al "pensiero" che si distingue
dalla volontà e che dunque ha la volontà al di fuori di sé. Il pensiero, come
trascendentale, come orizzonte assoluto che non ha nulla al di fuori di sé, non
può essere confuso con quel suo contenuto che è il "pensiero" come
forma teoretica contrapposta alla forma pratica del volere. E sono questi due
contenuti che Croce intende come "eterne categorie".
È appunto Gentile a sottolineare con particolare
rigore quel significato superiore dell'identità del pensare e del volere, che
compete al pensiero come orizzonte trascendentale, cioè come puro atto che
contiene in sé tutte le distinzioni, ma, appunto, come distinzioni del suo
contenuto - le quali pertanto non sono due o quattro, ma infinite, come
infinite sono le determinazioni che vanno via via creandosi nel divenire della
realtà spirituale.
La «vera unità e identità dello spirito con sé
stesso» non può essere quindi data dalla crociana "circolarità" delle
forme dello spirito, che sono pur sempre contenuti dell'atto del pensiero, ma è
data da questo atto, cioè dal pensiero che è "trascendentale", perché
è l'orizzonte che non si può assolutamente trascendere e che ha in sé stesso,
come suo contenuto, ogni oggetto, ogni forma, ogni determinazione della realtà.
Pagine collegate:
- L'idealismo italiano: Attualità della coscienza e contemporaneità della realtà
- L'idealismo italiano: Lo storicismo di Croce (questa pagina)
- L'idealismo italiano: L'attualismo di Gentile